LETTERATURA LATINA

La vecchiaia è un grande male?

La vecchiaia è forse uno dei maggiori nemici dell’uomo? Secondo la visione di Catullo, di cui leggiamo nel carme V, i “vecchi” sono decisamente “brontoloni” e non capiscono l’amore:

  1. Vìvamùs, mea Lèsbia, àtque amèmus,
  2. rùmorèsque senùm sevèriòrum
  3. òmnes ùnius aèstimèmus àssis
  4. Viviamo, mia Lesbia, e amiamo
  5. e le chiacchiere dei vecchi troppo severi
  6. consideriamole tutte soltanto moneta senza valore

Cicerone, nel suo trattato “De senectute”, sembra operare una sorta di apologia della vecchiaia, affermando che in fondo se si è vissuto in modo proficuo il tempo precedente, la vecchiaia è una stagione con tanti aspetti positivi. Infatti la persona anziana non avrà più il vigore fisico del giovane, ma per la sua esperienza e saggezza sarà comunque oggetto di stima. Inoltre chi opera in modo zelante e alacre durante tutta la vita raggiunge in età anziana una posizione sociale piuttosto onorevole.

Cicerone ci ricorda inoltre quanto la vecchiaia contasse per un popolo di grande tradizione come quello spartano, che non dimenticava di dimostrare il proprio rispetto agli anziani.

La vecchiaia non impedisce certo di godere di alcuni passatempi ed attività che rinfrancano lo spirito, tra queste l’agricoltura:

Quid de pratorum viriditate aut arborum ordinibus aut vinearum olivetorumve specie plura dicam? Brevi praecidam: agro bene culto nihil potest esse nec usu uberius nec specie ornatius; ad quem fruendum non modo non retardat, verum etiam invitat atque adlectat senectus. [De senectute, 57]

E dovrei ricordare ancora il verde dei prati, le file degli alberi, la bellezza delle vigne o degli oliveti? Taglierò corto: niente può essere più ricco di profitto o più bello a vedersi di un campo ben coltivato. E a goderne, la vecchiaia non solo non è un ostacolo, ma anzi uno stimolo e un incitamento. [De senectute, 57]

Non è inoltre un difetto dell’età essere brontoloni, ma è proprio del carattere. Infatti Cicerone ci dice che come non tutti i vini, non tutti i caratteri inacidiscono col tempo.

Inoltre riguardo la morte, il filosofo ci dice che va disprezzata: se porta all’annientamento dell’anima non va tenuta in nessun conto, mentre se conduce l’anima in un luogo di vita eterna allora va addirittura desiderata. Inoltre la morte non è un capo d’accusa della vecchiaia, ma può riguardare purtroppo anche l’età giovanile.

E voi che cosa pensate della vecchiaia?

LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA

Avete il “Cuore” di leggerlo?

Avete il “Cuore” di leggerlo?
Il libro Cuore ricorda una raccolta di omelie della messa domenicale. Il narratore interno, Enrico, racconta un anno scolastico sotto forma di diario. Il punto di vista del ragazzo è talvolta interrotto da quello dei genitori, autori di brevi lettere indirizzate al figlio, contenenti in genere ammonimenti o inviti alla riflessione su questo o su quel tema. La narrazione è interrotta da alcuni racconti di fantasia ideati nel contesto della classe, come compito di scrittura.
In sintesi, questo è il messaggio del romanzo: bisogna essere buoni con il prossimo, fare l’elemosina, aiutare i compagni di classe, non prenderli in giro, difendere i più deboli, prestare aiuto in famiglia ecc.

Nach der Schule *oil on panel *75 x 62 cm *signed b.l.: Waldmüller 1841


L’autore ci riassume nelle prime pagine il profilo dei personaggi principali, ovvero degli studenti della III elementare, sezione Baretti, dei loro parenti e  dei maestri. Fornisce anche alcune indicazioni sui personaggi secondari e sui luoghi del romanzo, ovvero Torino, Rivoli e Moncalieri. La prima è la città dove Enrico abita, le altre due sono mèta di escursioni e di villeggiatura per la famiglia del ragazzino.
Insomma, De Amicis non ci lascia scoprire nulla, spiega tutto minuziosamente. E dalla sua stessa descrizione vediamo che i personaggi per lo più o sono buoni o sono cattivi. Vi è un personaggio, Votini, molto vanesio, che tuttavia ha il cuore non cattivo, come apprendiamo dall’episodio in cui appare dispiaciuto per la sofferenza di un bambino cieco.
Inoltre i ragazzi della classe sono più o meno sfortunati e più o meno abbienti.  Alcuni hanno qualche familiare malato oppure sono penalizzati da qualche difetto fisico che li rende facile preda del bullismo, in particolare delle angherie di Franti, il vero antagonista nella vicenda. Poi troviamo il cliché del povero capace che si dà tanto da fare, vedi Coretti, che aiuta il padre falegname e trova il tempo di accudire la madre e di ripassare la lezione con profitto. Ci sono anche il povero bibliofilo, Stardi, e il timidissimo Precossi, valente ma sfortunato in quanto sembra che il padre lo picchi (l’autore aggiunge: speriamo che non sia vero). I nomi sembrano quasi parlanti, se pensiamo al verbo latino frangere che si collega al nome del “bullo” della classe, ovvero Franti, oppure al pronome latino Nobis, cognome del signorino altezzoso e snob.

Albert Anker, La scuola del villaggio, 1848
Albert Anker, La scuola del villaggio, 1848


Ogni paginetta di diario contiene un episodio, dove si avvicendano i vari personaggi, sempre in relazione ad Enrico. Possono essere paragonati a piccoli episodi da sit-com, in cui non si verificano in genere grandi avvenimenti. Manca forse un’evoluzione dei personaggi, che appaiono come figurine stereotipate.
Le descrizioni sono semplici, così come lo è il linguaggio.
Vale la pena leggerlo? Per i bambini, assolutamente sì: propone un modello rassicurante, elemento che in un periodo di difficoltà familiari (e non solo) come quello contemporaneo non è certo da trascurare. Fornisce un esempio di valori positivi, per cui che importa se i personaggi risultano stereotipati, se la vicenda non è troppo accattivante, se a tratti il libro appare un po’ troppo “moralizzatore” nei suoi intenti? L’infanzia ha bisogno di certezze, di parole dolci, di un sentiero di condotta semplice e luminoso.
Lo consiglierei a un adulto? Non lo so, per i difetti di cui sopra. O meglio, consiglierei di leggerne almeno una parte, per rendersi conto di quale canto abbia intonato un simile classico della letteratura. In primo luogo si tratta di una sorta di documento degli usi e costumi ottocenteschi in materia di scuola, lavoro e società. Inoltre in effetti, abbiamo bisogno forse più dei bambini di sentirci coinvolti da un afflato di solidarietà umana, di pietà umana. Sembrano sentimenti scontati, ma la cronaca dei nostri tempi tradisce invece una mentalità individualista che mira a sottrarre al prossimo più che a donare.

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In certi punti poi la narrazione di De Amicis si fa quasi poetica, come quando racconta della reazione del padre di Precossi, un violento, alla vincita della seconda medaglia del figlio per la sua ottima condotta scolastica e per il suo notevole profitto:

“Il fabbro, che era stato a sentire con la bocca aperta, guardò fisso il Sovrintendente e il Direttore, e poi fissò il suo figliuolo, che gli stava davanti, con gli occhi bassi, tremando; e come se ricordasse e capisse allora per la prima volta tutto quello che aveva fatto soffrire a quel povero piccino, e tutta la bontà, tutta la costanza eroica con cui egli aveva sofferto, mostrò a un tratto nel viso una certa meraviglia stupita, poi un dolore accigliato, infine una tenerezza violenta e triste, e con un rapido gesto afferrò il ragazzo per il capo e se lo strinse sul petto”.


Allora, abbiate Cuore, e leggete questo classico della nostra letteratura, mettendo magari a tacere il vostro bisogno di sfumature: qui troverete solo il bianco, che ad ogni modo è uno splendido non-colore. 

LETTERATURA STRANIERA

Citazioni da “Il ritratto di Dorian Gray”

Da un capolavoro della letteratura inglese, ecco un elenco di frasi memorabili, un vero e proprio condensato di saggezza. Per mettere in discussione e decostruire alcuni luoghi comuni.

“Che importanza ha il reale corso del tempo? Solo la gente mediocre ha bisogno di anni per liberarsi di un’emozione. Un uomo che sia padrone di sé può far terminare una pena con la stessa facilità con cui inventa un piacere. Io non voglio essere in balìa delle mie emozioni. Voglio valermene, goderne e dominarle” p. 134

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“V’eran momenti in cui considerava il male solo come un mezzo con cui attuare la sua concezione della bellezza” p. 177

“Le donne ci amano per i nostri difetti. Se ne abbiamo abbastanza, esse son pronte a perdonarci tutto, perfino l’intelligenza” p. 215

“Il giorno dopo non uscì di casa e passò la maggior parte del tempo nella sua stanza, angosciato da un folle terrore della morte e tuttavia indifferente alla vita” p. 240

“L’unica cosa veramente terribile che vi sia, caro Dorian, è l’ennui. Il solo peccato per cui non esiste perdono” p. 244

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“Che passione hanno le donne di far cose pericolose! – esclamò ridendo Lord Enrico. – E’ una delle loro doti che ammiro di più. Una donna civetterebbe col primo venuto purché sapesse che gli altri la guardano” p. 245

“Cara Gladys, tutte le strade conducono allo stesso punto. – E cioè? – Alla disillusione” p. 247

“La morte e la volgarità, nel diciannovesimo secolo, sono gli unici due fenomeni che non si riescono a spiegare” p. 254

“Ogni delitto è volgare, esattamente come ogni volgarità è un delitto […] Il delitto appartiene esclusivamente alle classe inferiori, e non le biasimo affatto per questo. Direi che il delitto è per loro quello che per noi è l’arte: un mezzo per procurarsi sensazioni fuor dell’ordinario, e nulla più” p. 255

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“Direi tuttavia che l’assassinio è sempre un errore. Non bisognerebbe mai compiere nulla di cui non si possa parlare dopo desinare” p. 255

“Da quando non foste più amici intimi, egli non fu più un grande artista. Che cosa vi separò? Immagino che ti abbia annoiato. In tal caso non avrà mai potuto perdonartelo. E’ la consuetudine delle persone noiose” p. 256

“Le cose di cui ci sentiamo assolutamente certi non sono mai vere” p. 258

LETTERATURA ITALIANA, LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA

Siamo tutti “Canne al vento”

“Ma perché tutto questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?”

“Sì”, egli disse allora, “siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.”

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Con queste parole pronunciate dal “protagonista” si giustifica il titolo di questo romanzo edito nel 1913 e afferente al filone del verismo romantico. La parola “protagonista” è inserita tra virgolette perché in realtà Efix appare come un osservatore di vicende che lo riguardano in parte, in quanto servo della famiglia Pintor, appartenente alla nobiltà decaduta. Un giorno viene comunicato alle tre sorelle Pintor Ruth, Ester e Noemi che il loro nipote Giacinto, figlio di un’altra sorella di nome Lia, fuggita in gioventù, verrà a stare presso di loro. Efix ne è contento in quanto pensa che una figura maschile per le tre sorelle avrebbe potuto assumere un ruolo di protezione. Solo donna Noemi è titubante rispetto all’arrivo del giovane, che infatti si rivela piuttosto sprovveduto in quanto accumula debiti che paga prendendo a prestito dall’usuraia del paese. Infine sarà costretto a cercare un’occupazione altrove, lasciando sola la ragazza con cui aveva frattanto iniziato una relazione.

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La narrazione viene esposta in modo piuttosto realistico, con dovizia di descrizioni dei paesaggi, ma non dei personaggi. Si tratta di una storia da cui si possono trarre spunti di carattere etnografico, sulle usanze di una Sardegna primitiva e popolana. Si parla di vecchi errori, di vecchi rancori che caratterizzano la famiglia Pintor e il fedele servo Efix, il quale nasconde però un segreto che in un certo senso è motore della vicenda in quanto ha fatto sì che l’uomo spronasse le dame Pintor ad accettare Giacinto.

Al centro della storia dunque è da un lato la debolezza umana di Efix, che partirà ad un certo punto finendo con il diventare un mendicante, dall’altro l’amore di donna Noemi per Giacinto. Quest’ultimo sentimento viene solo accennato, si allude ad esso come a qualcosa di inconcepibile per l’uomo, l’amore non platonico di una zia per il proprio nipote. Un doppio matrimonio finale stroncherà la realizzazione di ogni impossibile desiderio proibito.

Consiglio questo romanzo agli amanti degli autori veristi, a cui piaccia la descrizione di un mondo povero caratterizzato da sentimenti semplici, quasi primitivi.

Non lo consiglio a coloro che abbiano passione per lo scandaglio psicologico dei personaggi: qui non vi è eccessiva introspezione psicologica, o meglio si comprende quest’ultima indirettamente in base alle parole e ai gesti compiuti dai personaggi.

Molto suggestive le descrizioni, a tratti poetiche.

LETTERATURA STRANIERA

“I misteri di Udolpho” di Ann Radcliffe

Trama in sintesi

Nella Francia del 1584 la giovane Emily St. Aubert, rimasta orfana di entrambi i genitori, viene rinchiusa dalla zia Madame Cheron e dal suo compagno nel tenebroso castello di Udolpho. Iniziano dunque per lei una serie di avventure che metteranno a dura prova la sua capacità di affrontare situazioni difficili.

Commento

“Fino a che avrò Udolpho da leggere, mi sentirò come se nulla potesse rendermi infelice”. Con queste parole Jane Austen commentava il suo rapporto con il fortunato romanzo della Radcliffe. Effettivamente le mille pagine e più del romanzo inglese scorrono con grande rapidità e diventano quasi un compagno di viaggio nelle giornate del lettore. Non so se sia l’effetto della traduzione italiana di Vittoria Sanna, ma lo stile del romanzo, caratterizzato dalla dovizia di dettagli e di descrizioni di situazioni anche piuttosto quotidiane rendono il romanzo piacevole. 

La struttura prevede 4 libri ciascuno dei quali si compone di svariati capitoli introdotti da una citazione tratta da testi poetici o drammaturgici. La stessa narrazione si interrompe per dare spazio a inserti di poesia composta o letta dai vari personaggi. 

Le vicissitudini della giovane Emily dalla Francia all’Italia appaiono velate di un senso di mistero, in quanto eventi più o meno soprannaturali fanno la loro comparsa, soprattutto durante la permanenza della ragazza nel castello di Udolpho, che appunto dà il titolo al romanzo. Accanto a questo elemento “dark” l’autrice riesce a raccontare ogni singolo pensiero o azione dei personaggi, non mancando mai di inserire dettagli e sfumature, anche relative all’ambiente dove si svolge la vicenda. Questo ovviamente conferisce una naturale verosimiglianza al romanzo, al netto di qualche approssimazione su elementi geografici o botanici (ad esempio quando l’autrice colloca i pini su Appennini e Pirenei). Si può intendere il romanzo come una sorta di romanzo di formazione, dove sembrano apparire spunti di carattere autobiografico.

Forse non si può dire che il romanzo incuta un reale spavento, ma certo è antesignano del genere gotico, anche se le vicende surreali vengono spesso spiegate razionalmente. I personaggi sono inoltre tendenzialmente o positivi o negativi, e l’autrice cerca di tratteggiarne le caratteristiche in modo preciso, senza dare molto spazio a sfumature.

All’interno del romanzo troviamo alcuni “tipi” caratteriali: la ragazza giovane e sensibile piena di valori, di cui Emily rappresenta un esempio, la matrigna superficiale e capricciosa, il patrigno malvagio e senza scrupoli, il padre amorevole e saggio, la servitrice fedele e chiacchierona, la nobildonna bella e sfortunata ecc.

Anche i luoghi sembrano ripetersi: il castello misterioso pieno di stanze chiuse è presente in Italia e allo stesso modo in Francia e in entrambe le location si percepiscono musiche la cui provenienza appare inizialmente soprannaturale.

Il soprannaturale tuttavia non resiste, nel senso che infine l’autrice spiega tutti gli enigmi in modo razionale, pertanto il messaggio dell’autrice è piuttosto chiaro e forse l’obiettivo vero del romanzo non è solo generare paura nel lettore, ma mostrare che alla fine il bene prevale sul male, come sembra dirci lei stessa alla fine della narrazione:

Vediamo che il finale del romanzo offre una morale semplice ma calzante rispetto all’intenzione dell’autrice e al suo stile di scrittura:

Sì! E il mio augurio è che possa servire a qualcosa avere mostrato che, anche se a volte i malvagi possono accumulare le afflizioni sui buoni, il loro potere è transitorio e il loro castigo sicuro; e che l’innocenza, benché oppressa dall’ingiustizia, trionferà in ultimo sulla sventura, purché sostenuta dalla pazienza!

Mi sono spaventata leggendo Udolpho? Non direi, come accennavo prima il romanzo è una compagnia piacevole e gli elementi più noir sono mitigati da uno stile descrittivo che spiega ogni aspetto, anche quello più misterioso. 

Trama in dettaglio

Nella quiete della Guascogna, sulle sponde della Garonna, si svolge la tranquilla e lieta vita della famiglia di St. Aubert e della moglie. Persi gli altri figli, conducono una serena esistenza immersi nella natura e nello studio, educando ai loro valori la figlia Emily. Purtroppo un evento distrugge la quiete della famiglia: la morte della madre, che getta il resto della famiglia in uno stato di profonda tristezza.

Emily e il padre partono per un viaggio dalla Linguadoca per raggiungere la regione del Roussillon, nella Francia meridionale, verso i Pirenei. Durante il viaggio conoscono un giovane uomo solitario, di nome Valancourt, con cui iniziano un rapporto di amicizia e che li accompagnerà nel restante tragitto tra luoghi suggestivi e anche pericolosi. Nasce un’intesa speciale tra Emily e Valancourt, che il padre osserva con tenerezza, ma che viene interrotta dalla decisione del giovane di lasciare la compagnia per prendere un’altra strada.

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Quando Emily, il padre e il conducente della carrozza Michael arrivano nella città di Perpignan, sui Pirenei, Aubert riceve cattive notizie dal cognato M. Quesnel: a quanto pare l’amministratore delle sostanze di St. Aubert ha commesso qualche errore indebitandosi e riducendo anche il patrimonio di Aubert stesso. Oltre a questo, nel prosieguo del viaggio la condizione di salute del padre di Emily peggiora sensibilmente e la compagnia riceve assistenza fortuita da una famiglia di contadini residente vicino a un misterioso castello. Lì St. Aubert muore, non prima di aver fatto delle raccomandazioni ad Emily: in un punto segreto del castello di La Valllée, loro residenza, vi sono delle carte che devono essere bruciate senza essere esaminate; inoltre la giovane potrà disporre di 200 luigi d’oro nascosti lì. Infine sino alla maggiore età la ragazza sarà sotto la tutela della sorella di Aubert, M.me Cheron.

Tornata a La Vallée, la ragazza riceve la visita di Valancourt, che le confessa i suoi sentimenti. Arrivata la zia M.me Cheron, il giovane lascia rapidamente il castello. La zia si dimostra subito poco sensibile e redarguisce Emily per questo incontro non autorizzato dalla famiglia. Emily racconta l’accaduto, ma M.me Cheron mostra di non apprezzare il giovane, in quanto figlio cadetto, reputandolo uno spiantato. L’indomani Emily dovrà lasciare il suo castello per recarsi a Tolosa con la nuova tutrice.

La zia si dimostra subito poco empatica e sgradevole con la giovane, negandole anche ogni tipo di contatto con Valancourt e rifiutando la richiesta di matrimonio del ragazzo.

In seguito, saputo delle parentele di lui con una nobildonna del luogo, acconsente al matrimonio. Quando però la donna sposa un italiano di misteriosa origine, Montoni, cambia nuovamente idea dando seguito al desiderio del marito e proibisce il matrimonio della nipote, imponendole di seguirli in Italia. Ovviamente l’impossibilità di sposare Valancourt e la prospettiva di non vederlo mai più gettano Emily in un profondo stato di malinconia.

La vita a Venezia con Montoni e sua zia scorre tra nuove conoscenze e nostalgia del passato; la giovane ben presto si rende conto che Montoni ha sposato sua zia credendo di fare un matrimonio di convenienza, ma si ritrova deluso quando capisce la reale situazione economica della moglie. In effetti non aveva nutrito mai reali sentimenti di affetto o di stima per lei. Emily viene corteggiata da un amico di Montoni, il conte Morano, che ovviamente gli zii preferiscono come partito per il matrimonio di Emily medesima. Sia Montoni che Quesnay, incontrato in Italia, sono molto duri nell’affermare l’importanza economica di un matrimonio di Emily con il conte: a nulla valgono le proteste della giovane, obbligata a contrarre il matrimonio,

Tuttavia, proprio il giorno del matrimonio, gli zii, senza dare spiegazioni, obbligano la giovane a partire con loro verso Udolfo, il castello negli Appennini di proprietà di Montoni. Lì la giovane apprende che la signora Laurentini, una nobildonna che viveva nel castello ed era amata da Montoni, è scomparsa anni addietro, anche se qualcuno giura di averne visto lo spirito aggirarsi nel sinistro edificio…

Una sera Morano fa irruzione in camera di Emily e le racconta che Montoni fu scorretto nel non consentire il matrimonio nonostante la parola data, poiché intendeva dare la nipote in sposa per ottenerne un maggior vantaggio economico. Morano chiede ad Emily di fuggire con lui, dipingendo Montoni come un uomo senza scrupoli. Questo ultimo però scopre l’irruzione di Morano e lo sfida a duello.

Emily viene inoltre a sapere dalla zia che Montoni non possiede le ricchezze che lei credeva ed è pieno di debiti. Infine Montoni stesso racconta agli amici in visita della vicenda della signora Laurentini, sua lontana parente che aveva respinto il suo corteggiamento. La donna era poi caduta in depressione e morta suicida, a detta di Montoni; dopo la morte della donna il castello andò in eredità proprio a Montoni. Nel racconto di questa vicenda si odono delle strane voci nella stanza, fatto che turba non poco il rigido proprietario del castello . 

I rapporti tra i due coniugi sono molto tesi a causa di problematiche di carattere economico che madame Montoni viene a scoprire in relazione al marito; questi vorrebbe che  la moglie gli cedesse la sua proprietà in Francia ma la donna rifiuta recisamente. In seguito ad un tentativo di avvelenamento ai suoi danni, Montoni pensa che la moglie sia coinvolta e la fa chiudere in un’ala del castello, Dopo varie vicissitudini Emily riesce a rivedere la zia che trova però malata e quasi in fin di vita, ne chiede perciò a Montoni il trasferimento. Infine la zia morrà, ma Emily non accetta di cederne le proprietà a Montoni, il quale al contrario asserisce che gli spettano in quanto marito. Emily pensa che le proprietà della zia potranno essere per lei in futuro un elemento di supporto economico e che potranno favorire il rapporto con Valancourt.

Emily al castello è continuamente spaventata da presenze che le sembrano non umane; in particolare le pare di udire spesso una musica dolce. Ad un tratto si illude che questa presenza possa essere Valancourt, e domanda alla sua cameriera Annette se vi siano prigionieri nell’edificio, ma non ottiene una risposta certa.

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Al castello sono presenti, protetti da Montoni, gruppi di condottieri, professionisti tanto della guerra quanto del saccheggio. Quando Emily teme il peggio dal suo ziastro a causa del rifiuto a firmare dei documenti per il possesso delle proprietà della zia in Francia, ecco che accade un fatto nuovo: il castello sta per essere assediato, dunque Emily, su richiesta di Montoni, viene trasferita in un luogo non precisato in Toscana. Lei stessa si chiede quale orribile sorte la attenda, ma non capisce perché le sia stato risparmiato il rischio di un assedio nemico se l’obbiettivo di Montoni è vendicarsi di lei.

Quando il pericolo cessa Emily torna al castello e pur di poter ripartire cede le sue proprietà a Montoni, il quale però non mantiene la promessa di libertà fattale in precedenza.

Incontrato un prigioniero francese di lei invaghito, Du Pont, inizialmente scambiato per Valancourt in seguito ad un equivoco, fugge dal castello insieme a lui, alla cameriera Annette e a un altro servitore, Ludovico. Peregrinando attraverso l’Italia, si imbarcano a Livorno e raggiungono la Francia, dove vengono aiutati in seguito a un naufragio, dal conte de Villefort, il nobiluomo che aveva ereditato i beni del marchese de Villeroi, situati nei pressi del monastero di St. Claire. Ospite del conte, Emily incontra finalmente Valancourt, ma venuta a sapere della sua condotta dissipata decide di interrompere i suoi rapporti con lui.

Nel frattempo scopre che la marchesa, ovvero la precedente proprietaria del castello, non amava realmente il marchese di Villeroi, ma un uomo che avrebbe sposato in segreto prima di lui…

Al castello Emily e l’anziana servitrice visitano gli appartamenti dove era vissuta e morta la marchesa e sembra loro di vedere il drappo che la aveva avvolta muoversi. Si diffondono al castello voci della presenza di fantasmi, per cui Ludovico si offre di risiedere nella zona “infestata” per una notte, al fine di smentire le credenze di molti abitanti della nobile dimora. Il mattino seguente non ci sarà più traccia di lui, motivo per cui il conte decide di ripetere l’esperimento con suo figlio Henri: i due ne rimangono scioccati, ma non ne viene esplicitato il motivo.

Emily viene a conoscenza della storia di suor Agnes, fatta entrare in convento dal padre in seguito alla scoperta da parte del marito della sua relazione extraconiugale con l’uomo da lei amato. Si osserva una strana somiglianza con la storia della marchesa nonché un’insolita somiglianza di suor Agnes con Emily.

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Infine la giovane prenderà possesso delle proprietà di sua zia nonché di La Valleé, anche se una certa tristezza per il mancato matrimonio con Valancourt getta un po’ d’ombra sul tanto sospirato ritorno a casa.

Il conte, la figlia ed altri durante un viaggio vengono a contatto con dei banditi, e sono salvati da Ludovico, del quale si scopre adesso la sorte.. Egli infatti era stato rapito da quei banditi che mediante un passaggio segreto avevano accesso al castello, nei cui sotterranei nascondevano la refurtiva. Anche il conte aveva visto una persona nella notte di sorveglianza al castello, ma aveva promesso di non raccontare nulla dell’accaduto.

Verso la fine del romanzo vengono chiariti tutti gli enigmi disseminati in esso: si scopre che suor Agnes era in realtà la proprietaria del castello di Udolpho, la signora Laurentini, che aveva rifiutato Montoni in quanto innamorata del marchese di Villarois. Quest’ultimo aveva a sua volta sposato la marchesa, che si scopre essere la sorella del padre di Emily. Il marchese, convinto che la moglie avesse un amante, su istigazione e con la complicità della sua amata italiana, la avvelena, pentendosi subito dopo. Anche la signora Laurentini si pente, entrando poi in convento come suor Agnes. La donna come si era capito  aveva momenti di follia e per alleviare il dolore andava di notte a suonare nei dintorni del convento, spiegando così le strane melodie udite anche al castello del conte. Inoltre il cadavere che Emily credeva di aver visto a Udolpho altro non era che una statua di cera.

Si viene inoltre a saper da un nobile che aveva condiviso la prigionia a Parigi con Valancourt che quest’ultimo, pur caduto nella rete della dissolutezza, non aveva però mai accettato denaro da nobildonne né aveva partecipato agli inganni dei giocatori d’azzardo, inoltre aveva fatto di tutto per aiutare il suo compagno di prigione e la sua famiglia .

Pertanto Emily perdonerà Valancourt decidendo di sposarlo e di vivere con lui principalmente a La Valleė, vendendo le proprietà di madame Cheron a Tolosa.

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LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA

Perché leggere “Una donna” di Sibilla Aleramo

Citazione:

“E come può diventare una donna, se i parenti la danno, ignara, debole e incompleta, a un uomo che non la riceve come una sua uguale; ne usa come d’un oggetto di proprietà; le dà dei figli coi quali l’abbandona sola, mentr’egli compie i suoi doveri sociali, affinché continui a baloccarsi come nell’infanzia? Dacché avevo letto uno studio sul movimento femminile in Inghilterra e Scandinavia, queste riflessioni si sviluppavano nel mio cervello con insistenza”.

Struttura e contenuto dell’opera

  • L’opera è divisa in 3 parti, che rappresentano la vita dell’autrice;
  • la figura del padre, di ispirazione per la giovane, sarà poi deludente in quanto sostanzialmente abbandona la famiglia per un’altra donna
  • La scrittura, nutrita grazie alle letture, rappresenta per la protagonista un elemento di riscatto 
  • Il titolo rimanda a una vicenda che vuole essere esemplare, non specifica di una persona. Sono assenti i nomi propri per lo stesso motivo
  •  i dialoghi sono poco presenti, non appaiono molte descrizioni approfondite
  • Il narratore-protagonista è interno e racconta in flash-back la vicenda di una crisi di identità
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Buoni motivi per leggere “Una vita”

  • Si tratta del primo testo femminista della nostra letteratura
  • Finalmente la donna non è più vista come proprietà dell’uomo: l’auspicio è quello di affermare le proprie capacità personali e i propri desideri, in sintesi la propria identità
  • Una donna non è un’opera narrativa tradizionale, rappresenta una sorta di romanzo di formazione in cui la protagonista si libera delle prigioni familiari e si ribella al proprio ruolo tradizionale di madre e moglie
  • La scrittura è semplice, basata su un’alternanza di narrazione e riflessione; in particolare vi sono riflessioni su temi cari alla protagonista e analisi di carattere psicologico
  • la struttura non è realistica, ha similitudini con i romanzi di Pirandello e Svevo
  • lo stile è ricco di metafore, similitudini, anafore, interrogative retoriche ed esclamazioni. Sembra una prosa quasi poetica.

Considerazioni di contesto

Nel 1946 ha inizio un nuovo periodo importante per le donne italiane, grazie al riconoscimento dei diritti politici, ma l’Italia è comunque di nuovo in ritardo rispetto ad alcuni altri paesi come ad esempio l’Inghilterra dove “la donna gode della piena capacità giuridica in materia di contratti e di beni” già a partire dal 1870. È soprattutto negli anni Sessanta però, con il baby boom, che i grandi movimenti di emancipazione femminile nascono e si estendono in Italia. Nonostante il ritardo storico complessivo dell’Italia rispetto all’Inghilterra, la Aleramo è comunque in anticipo poiché il romanzo Una donna risale ai primi del 1900. La maggior parte dei testi femministi inglesi, come A room of one’s own e Three Guineas di Virginia Woolf risalgono agli anni Venti e Trenta. Negli anni Settanta la concezione del matrimonio cambia, modificando l’idea del marito come capofamiglia e cancellando la concezione di una relazione impari tra i coniugi. La relazione paritaria guadagna terreno e l’uguaglianza della donna si afferma, cosicché il ruolo della donna non è più soltanto ristretto alla maternità e al governo di casa, ma si estende anche a ruoli nuovi.

Bibliografia

S. Aleramo, Una donna, Milano, Feltrinelli, 2013

M. Colonna, L. Costa, Le voci delle donne, La scrittura femminile nel Novecento, Milano, Paravia, 2021

Lara Dierickx, Una Donna di Sibilla Aleramo. La presenza di prototipi femminili nella prima letteratura femminista italiana, tesi di laurea, facoltà di Gent, a.a 2014/2015

LETTERATURA ITALIANA, LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA

“Uomini e no” di Elio Vittorini

Più che un romanzo, “Uomini e no” è un insieme di frammenti narrativi che rispecchiano un momento storico concitato, quello della Resistenza a Milano nel 1944. I brevi capitoletti analizzano la situazione da punti di vista diversi, cosicché il lettore si trova spesso catapultato nella realtà di personaggi dai nomi in codice, non descritti direttamente, ma indirettamente presentati dalle loro parole, azioni, gesti, interlocuzioni.

Tra gli eventi violenti perpetrati dai nazisti si verifica una strage di civili, così descritta:

“I morti al largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque Giornate, ai piedi del monumento.

Cartelli dicevano dietro ogni fila di morti: Passati per le armi. Non dicevano altro, e tra i morti erano due ragazzi di quindici anni. C’era anche una bambina, c’erano due donne e un vecchio dalla barba bianca. […] Come? Anche quei due ragazzi di quindici anni? Anche la bambina? Ogni cosa? Per questo, appunto, sembrava anzi che comprendesse ogni cosa. Nessuno si stupiva di niente. Nessuno domandava spiegazioni. E nessuno si sbagliava”

Oltre alla dimensione storica ciò che distingue il romanzo è una storia d’amore infelice tra Enne 2 e Berta: storia infelice in quanto lei è già di un altro uomo. Due incontri caratterizzano il procedere della narrazione, nel secondo dei quali sembra che la situazione sentimentale di Berta si sblocchi in favore di Enne 2. Tuttavia ad un certo punto lei decide di tornare da suo marito per spiegargli il suo punto di vista, lasciando Enne 2 solo e deluso. Prima di questa delusione, il partigiano rivolge a Berta bellissime parole:

“Sapevi di essere mia moglie? Non lo sapevi. E invece lo sei”.

“Quando non lo sapevo non lo ero”

“E invece lo eri” […]

“Lo sei sempre stata” egli le disse.

La baciò. E fuori dalle finestre, alte sulle altre case, ancora si vedeva, bianco e celeste negli occhi del cielo, staccato da terra, il ghiaccio delle montagne.

“Non lo sei sempre stata?” disse Enne2. “Lo sei sempre stata”.

“E le montagne?” Berta chiese. “Le hai sempre vedute?”

“Le ho sempre vedute”

“E i morti?”

“Ci sono sempre stati.”

“E gli occhi azzurri?”

“Gli occhi azzurri?”

“Di chi mi hai parlato sempre che aveva gli occhi azzurri? Era tuo padre? Erano nella tua infanzia?”

“Erano tu stessa”

“Io stessa gli occhi di tuo padre?”

“Tu stessa la mia infanzia”

“Io anche la tua infanzia?”

“Tu ogni cosa. Sei stata ogni mia cosa, e lo sei”.

“Lo sono?”

“Sei ogni cosa che è stata e che è”.

“E tua moglie?”

“Mia moglie. Mia nonna e mia moglie. Mia madre e mia moglie. La mia bambina e mia moglie. Le montagne e mia moglie”.

Il bacio di Klimt

In seguito ad una azione contro i fascisti, Enne 2 viene identificato e viene posta una taglia su di lui per chiunque lo denunci. Viene suggerito ad Enne 2 di fuggire, ma l’uomo si trattiene principalmente per attendere il ritorno di Berta.

Commento

La narrazione, decisamente frammentaria e quasi del tutto dialogica, è sicuramente particolare. La vicenda non risulta sempre facile da seguire, ma il romanzo è consigliato per chi abbia predilezione per i testi di natura narrativa o addirittura teatrale. La componente descrittiva è esigua e quella riflessiva è confinata alle pagine scritte in corsivo, che però non sembrano integrarsi particolarmente nella vicenda, ma appaiono commenti di carattere generico.

Chi è appassionato alla storia della Resistenza potrà trovare nel libro un’interessante rappresentazione realista delle figure partigiane e fasciste; ma sicuramente l’aspetto più piacevole risiede nel racconto della storia d’amore epica tra Berta e Enne 2.

LETTERATURA ITALIANA, LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA

“Paesi tuoi” di Cesare Pavese

Paesi tuoi è scritto nel 1939 ed esce presso la casa editrice Einaudi nel 1941.

La critica saluta il romanzo come un esempio di rinnovato verismo, ma questo è un equivoco, durato a lungo. Il linguaggio di Paesi tuoi è quello popolareggiante intriso di dialetto, così come in Verga si intravedeva in filigrana il dialetto dei personaggi, ma ci sono differenze profonde con Verga. In quest’ultimo si verificava una svolta della narrativa ottocentesca, il narratore parlava come uno dei personaggi; il narratore di Verga è interno al mondo rurale rappresentato, quello di Pavese è esterno e vede il mondo contadino dal di fuori e ciò crea il senso della narrazione, nella quale il viaggio è scoperta di un mondo diverso e ignoto. A narrare è Berto, un meccanico torinese che conosce un contadinotto, Talino, che lo invita a seguirlo nella cascina del padre nelle langhe. Berto prima rifiuta ma poi si trova in difficoltà, senza casa e senza lavoro. La focalizzazione è interna sul personaggio. Anche nella narrazione in prima persona bisogna dire che le funzioni sono diverse: un conto è chi vive i fatti, un conto è il narratore che li rivive. Il fatto che sia focalizzato sul primo tipo di narratore dà senso di immediatezza.

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Il testo pavesiano allude al grembo materno della madre terra. La mammella non è solo simbolo materno pre-edipico ma anche simbolo erotico. La ricerca è pervasa da impulso erotico, le sorelle di Talino non sono molto attraenti però una di loro, come dice Berto, è meno “manza” delle altre. Berto scopre segni di violenza sul corpo di Gisella e cerca di capire cosa sia successo. Talino è figura apparentemente ridicola, sembra quasi demonica, incarnazione atroce del male, regno di violenza e sangue. I luoghi sembrano rimasti fermi a una stagione arcaica. Il critico Barberi Squarotti ha detto che il viaggio di Berto non è un viaggio nello spazio, quanto un viaggio nel tempo. La campagna conserva costumi, mentalità, riti ancestrali, anteriori alla civiltà come la si intende comunemente. E’ il regno del selvaggio. Pavese è ossessionato dall’idea del selvaggio, cui dedica molte annotazioni soprattutto nel Mestiere di vivere. L’interesse per ciò va di pari passo con le scienze antropologiche (cfr. Il ramo d’oro di Frazer). In questo senso Pavese studia riti, sangue, sesso, fuoco per rendere feconda la terra, falò accesi per fecondare i campi. Si pensava inizialmente che Pavese volesse rappresentare la realtà cruda della campagna – esiste in un romanzo naturalista, La terra di Zola, una vicenda simile. Anche Paesi tuoi a volte è stato assimilato ai primordi della corrente neorealista. Ma invece è un romanzo simbolico: ad esempio l’uccisione di Gisella sui covoni di grano è un sacrificio umano, di cui Pavese legge infiniti esempi nel libro di Fraser.

La matrice è decadente e dannunziana: la collina-mammella viene da D’Annunzio, Il trionfo della morte 1895. D’Annunzio è fondamentale nella formazione del giovane Pavese, l’interesse per il selvaggio accomuna i due autori. Alcune annotazioni del Mestiere di vivere sono illuminanti in relazione all’idea del selvaggio. Tutto ciò che lo ha interessato gira intorno al selvaggio e in questo senso Pavese cita proprio d’Annunzio.

Feria d’agosto è un libro contenente racconti, prose liriche, piccoli poemi in prosa in cui Pavese enuncia la teoria del mito centrale nella sua visione. Poi si evidenzia un gruppo di saggi sotto il titolo complessivo Del mito, del simbolo e dell’altro. Qui si comincia con la descrizione di un’estasi panica e lo scrittore confessa che di fronte alla campagna è preso come dire da una sorta di immedesimazione per cui si identifica con le varie presenze della campagna, si trasforma nel vento, nelle foglie, nel succo dei frutti cioè esattamente come in una di quelle estasi paniche di Alcyone. Però Pavese è anche consapevole dei rischi che comporta questo cedimento all’irrazionale decadente ed anzi ne era diventato consapevole proprio per l’esperienza del fascismo e della guerra: sapeva bene che l’irrazionalismo decadente era fra le matrici culturali del nazifascismo. Immergersi nell’irrazionale e restarne prigioniero non va bene, Pavese vuole portare l’irrazionale a chiarezza, ammirando il progresso. In Paesi tuoi il protagonista Berto rappresenta infatti proprio la ragione, il logos, la modernità, in quel mondo arcaico e superstizioso.

LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA

“Preludio” di Emilio Praga

La Scapigliatura è una corrente letteraria sviluppatasi negli anni Sessanta dell’Ottocento. Ne fanno parte scrittori e poeti molto diversi tra loro ma accomunati da una stessa insoddisfazione per lo stato della letteratura italiana del loro tempo. Il termine deriva da un romanzo di Cletto Arrighi, intitolato appunto La Scapigliatura e il 6 febbraio. Il desiderio di questi intellettuali è opporsi a tutti gli ordini stabiliti, ribellarsi alla classe borghese, riprendere lo spirito bohémienne parigino, adattandolo al contesto italiano. Il centro propulsore della nuova corrente letteraria è Milano, città dove gravita anche la figura di Emilio Praga, autore della poesia-manifesto Preludio:

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  • Noi siamo i figli dei padri ammalati:
  • aquile al tempo di mutar le piume,
  • svolazziam muti, attoniti, affamati,
  • sull’agonia di un nume.
  • Nebbia remota è lo splendor dell’arca,
  • e già all’idolo d’or torna l’umano,
  • e dal vertice sacro il patriarca
  • s’attende invano;

  • s’attende invano dalla musa bianca
  • che abitò venti secoli il Calvario,
  • e invan l’esausta vergine s’abbranca
  • ai lembi del Sudario…

  • Casto poeta che l ‘Italia adora,
  • vegliardo in sante visioni assorto,
  • tu puoi morir!…Degli antecristi è l’ora!
  • Cristo è rimorto!

  • O nemico lettor, canto la Noia,
  • l’eredità del dubbio e dell’ignoto,
  • il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,
  • il tuo cielo, e il tuo loto!

  • Canto litane di martire e d’empio;
  • canto gli amori dei sette peccati
  • che mi stanno nel cor, come in un tempio,
  • inginocchiati.

  • Canto le ebbrezze dei bagni d’azzurro,
  • e l’Ideale che annega nel fango…
  • Non irrider, fratello, al mio sussurro,
  • se qualche volta piango:

  • giacché più del mio pallido demone,
  • odio il minio e la maschera al pensiero,
  • giacché canto una misera canzone,
  • ma canto il vero!

La poesia si apre con una dichiarazione categorica: i giovani della generazione di Praga (specie i poeti) sono figli di padri malati, padri incapaci di trasmettere valori solidi e ancora condivisibili. Sono come aquile nel periodo della muta delle piume, quando, impedite a librarsi in ampi voli, possono tutt’al più svolazzare vicino al loro nido, che però non garantisce protezione di un rifugio familiare, ma attesta il consumarsi di un disastro: il nume, il dio protettivo in cui si è creduto, sta morendo. Ormai la poesia religiosa ha esaurito la sua funzione, adesso anche il poeta simbolo di quella musa cristiana non può più comunicare nulla perché è l’ora degli anticristi, Cristo è morto nuovamente. I valori di cui si fa portatrice la spiritualità, la rettitudine, il rigore morale, la Provvidenza, sono tramontati e i nuovi autori al contrario cantano la Noia, l’eredità del dubbio e dell’ignoto: ormai la certezza positiva della fede è scardinata e domina un certo smarrimento, un’oscillazione maledetta tra una convinzione e l’altra.

Potremmo dire che qui il discorso si fa metaletterario, in quanto il poeta dichiara l’azione di “cantare” e si appella direttamente al lettore, definito “nemico” probabilmente in quanto membro della categoria borghese e benpensante. Il poeta scapigliato canta il vero, cioè la nuda e cruda realtà, con le sue brutture e contraddizioni, senza edulcorarla con maschere e ipocrisie.

Tuttavia la novità poetica prospettata è solo annunciata, ma non effettiva. La poesia rimane formalmente nel segno della tradizione (si notino le anafore vv. 6-7, 21-22, 25 e la cobla capfinida tra la seconda e la terza strofa), e dal punto di vista del contenuto sono fortissime le riprese dai Fiori del male di Baudelaire. Basta, a titolo di esempio, osservare l’explicit della famosa poesia finale della raccolta del poeta francese, Il viaggio:

E tanto brucia nel cervello il suo fuoco, / che vogliamo tuffarci nell’abisso, Inferno o Cielo, cosa importa? / discendere l’Ignoto nel trovarvi nel fondo, infine, il nuovo.

L’abisso, l’inferno, il loto, l’ignoto, sono tutti concetti che in qualche modo la Scapigliatura recupera e trasferisce poeticamente, replicando immagini ed espedienti letterari già usati da Baudlaire.

STORIA ANTICA, UNITA' DI APPRENDIMENTO

I popoli italici

Unità di apprendimento

Destinatari: studenti della scuola secondaria di secondo grado, secondo anno.

Tempi: 4 ore circa

Strumenti: PDF allegato da proiettare

Fasi:

  1. Riepilogo delle preconoscenze.
  2. Visione di carte geografiche per localizzare i luoghi interessati dallo sviluppo delle civiltà italiche.
  3. Spiegazione dialogata sui seguenti punti, usando il PowerPoint:
  • Civiltà delle terramare
  • Civiltà villanoviana
  • Civiltà nuragica
  • Etruschi e altri popoli (Greci, Fenici, Celti)

4. Verifica orale e valutazione.